Il presente contributo, che riceviamo da un amico e collaboratore della nostra Redazione, testimone di un cattolicesimo integrale, è un tributo sulla figura e la testimonianza di Attilio Mordini, uomo e autore tradizionalista e cattolico, oggi ingiustificatamente sin troppo dimenticato, che, tra i vari meriti, ha quello di schiudere gli orizzonti di una metafisica dell’uomo e della storia, dai primordi sino alle prospettive escatologiche che oggi più da vicino ci occupano, alla Luce del Lògos.
Mordini non dimentica nulla delle tradizioni spirituali dell’umanità, ravvedendo nelle stesse i semina Verbi, da cui la sua peculiare riflessione sul mito: ricettacolo di verità metafisiche che nei secoli ha messo in comunicazione il Sacro e l’uomo, formando e fondando la vita del secondo nell’eternità del primo, e che con i misteri dell’Incarnazione, della Crocifissione e della Resurrezione si incarna una volta per tutte nella storia, divenendone il baricentro.
di Paolo Rizza
La riflessione di Mordini costituisce una fertile miniera di folgoranti intuizioni metafisiche, improvvidamente incomprese o gravemente travisate da taluni studiosi che, sebbene partecipi della meritoria milizia culturale condotta dagli intrepidi e silenziati difensori della Tradizione Cattolica, non hanno saputo o voluto intenderne le cospicue valenze sapienziali e inquadrarle in una pertinente prospettiva di interpretazione generale della storia.
In via preliminare, è bene avvertire che la specifica angolazione del pensiero di Mordini rifugge da astratte sistematizzazioni di tipo filosofico e da minuziose trattazioni di taglio convenzionalmente e aridamente accademico; lo studio amoroso della Sacra Scrittura e della
Patristica e il nutrimento spirituale della preghiera, illuminano e indirizzano la coerenza di un percorso culturale teso a riconoscere nel Verbo Incarnato il principio personale e vivente della Tradizione che, respingendo senza ingiustificabili riserve banalizzanti e confusionarie degenerazioni sincretistiche, si porge provvidenzialmente quale consacrazione e sintesi delle verità adombrate dal mondo precristiano.
La particolare attenzione rivolta dal pensatore fiorentino alla valorizzazione del rito come atto potenzialmente abilitato a ordinare i popoli vissuti prima della Rivelazione all’adempimento del vero e perfetto sacrificio del calvario; la vigorosa predisposizione da lui rivelata nell’apprezzare – sulla scia delle dottrine dei Padri della Chiesa – semina Verbi quali trasparenti prefigurazioni della Redenzione annunciata nei libri profetici dell’Antico Testamento, non autorizzano a ritenere che egli abbia voluto stabilire una assurda equivalenza tra il Cristianesimo e le altre confessioni le quali, disconoscendo la divinità del Verbo, tradiscono ciò che l’etimo della parola “religione” evoca e sottintende.
È appena il caso di rilevare che il Cristianesimo, configurandosi come la religione divina dotata di universalità e pertanto non risolvibile nella sua pur necessaria e provvidenziale dimensione storica, è intrinsecamente inseparabile dal Cattolicesimo e che la tesi, in forza della quale si presume istituire distinzioni o differenziazioni tra i due termini, rimanda implicitamente a speciose e inconsistenti motivazioni ideologiche.
Mordini ha più volte precisato il ruolo propedeutico che le civiltà precristiane assolsero variamente in ordine alla realizzazione del supremo fine sacrificale e redentivo della morte di Gesù.
A titolo esemplificativo, citiamo un passo saliente della relazione che lo studioso cattolico presentò in concomitanza con il primo Convegno Tradizionalista, svoltosi a Napoli il 26 e 27 maggio 1962.
«Ogni popolo che si ordina sulla terra, – scrive Mordini – dai primordi in poi, prende affondarsi su istituzioni sacre; istituzioni che si riallacciano ad una parola, a un Verbo trascendente. Non v’è una sola civiltà antica in seno alla quale non sia ben viva la Tradizione di una trascendenza; non v’è ordinamento civile da cui non trasparisca ben chiara la consapevolezza del fatto che essere uomini significa essere persone, essere persone significa essere membra complementari di un unico corpo di cui la testa è l’uomo-Dio. E l’uomo-Dio lo troveremo ridotto a mito, vissuto e sentito come simbolo; ma noi sappiamo bene che proprio quel mito si è più tardi incarnato come individuo umano calandosi, nella storia degli uomini, per la restaurazione ultima e irripetibile della Croce»(1).
Se le strutture politiche e i fondamenti culturali delle antiche civiltà valevano a suscitare una disposizione favorevole all’accoglimento della Rivelazione divina, sarebbe arbitrario pensare che l’adesione alla Fede Cristiana dovesse compiersi in ragione di una legge deterministica, tale da lasciar presupporre una fatale e sistematica conversione del mondo ad essa anteriore.
Per una integrale comprensione del testo sopra riportato, è peraltro indispensabile precisare la portata concettuale della parola “mito”, che Mordini rifiuta di identificare con fantasiose invenzioni narrative e, a fortiori, con una intenzionale falsificazione della realtà.
Il mito è un racconto preparatorio e allusivo al disvelarsi di una verità che solo attraverso l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele si rende storicamente concreta nel grembo verginale di Maria Santissima, serbando al contempo intatta la sua ineffabile e divina misteriosità.
Incapace di trarre da sé le ragioni ideali preordinate alla sua intelligibilità, la storia deve rettamente intendersi in funzione del Mistero dell’Incarnazione redentrice che, spiccando per incomparabile grandezza sui miti precristiani contemplanti l’indefinita ciclicità del divenire cosmico, trascende la scansione temporale nella luce pacificante e gaudiosa della Gerusalemme celeste.
L’unicità dell’evento Cristiano procede dalla soprannaturale armonizzazione dei piani appena richiamati, che la più acuta ricerca filosofica antecedente alla rivelazione non avrebbe saputo neppure approssimativamente abbozzare; “mito” e “storia”, anziché fondersi nell’impersonalità di un principio totalizzante o sbiadire in una caotica e indebita sovrapposizione di realtà strutturalmente diverse, si congiungono per divina disposizione nella persona di Gesù che, assumendo la natura umana, attua il Suo Sacrificio espiatorio, cui ogni uomo, anelante a realizzarsi come persona, deve conformare atti e pensieri.
Le erronee angolazioni prospettiche coestensive alla Babele moderna e congeniali alle ingegnose esercitazioni analitiche di una “ragione” isterilita, dalla rinuncia alle vigorose doti intuitive dell’intelligenza, falsano nell’uomo la dimensione personale di creatura redenta, circoscrivendone forzatamente la definizione alle determinazioni caratterizzanti la sua specifica individualità.
La storicità della Passione e della Resurrezione del figlio di Dio non si pone come argomento valido ad avallare una loro persuasiva comparazione o una loro ragionevole equiparazione con altri avvenimenti compresi in una particolare sequenza cronologica; il Mistero, compiutosi nella storia e pur trascendente la sua cornice, è misura dell’uomo che, arricchito dei beni soprannaturali gratuitamente concessi da Dio, deve corrispondervi per riconsacrare una gerarchia civile, adeguata a riflettere la costante e misericordiosa azione della Provvidenza.
Lo sviamento della conoscenza è determinato dalla prevenzione anti-metafisica che circoscrive la realtà entro i limiti di un orizzonte mondano e sovverte il senso tradizionale della cultura che, come il pensatore fiorentino ricorda a più riprese, si afferma autenticamente in ragione della sua consapevole ordinazione al culto dell’Altissimo.
Le accidentali contrapposizioni sviluppatesi culturalmente a ridosso del moderno secolarismo, si risolvono nella comune volontà (in esse rilevabile) di precludere la considerazione della vera religione come centro e sintesi che conferisce alle particolari attività umane un retto orientamento e una spirituale finalizzazione.
La formazione dell’uomo, superando gli angusti confini delle modalità conoscitive sancite dal predominio della modernità, attinge la sua espressione culminante nella personale partecipazione all’azione salvifica di Gesù, che apre l’accesso ai doni sovrabbondanti della Grazia e ordina il mondo alla gloria di Dio.
In considerazione della centralità del mistero della Croce e del vigore inesauribile che spiritualmente ne promana, appaiono decisamente chiarificatrici le sintetiche puntualizzazioni proposte da Mordini nel corso della relazione summenzionata.
«Per il fatto stesso che… ciascuno di noi ha da morire nelle acque del Battesimo per risorgere come persona, ha da esservi una personalità umana e universale di cui ciascun individuo partecipa nella misura che si fa persona vera; e se fosse un’astrazione la personalità dell’uomo universale, sarebbe astrazione anche la personalità di ognuno di noi; se fosse astrazione l’uomo universale, e solo il particolare concreto fosse realtà, l’uomo sarebbe reale solo in quanto individuo fisico realizzante la specie in tutta la necessaria correlatività che i due concetti di individuo e di specie hanno tra loro; l’uomo, insomma, sarebbe reale soltanto nella misura in cui è animale!»(2).
La pregiudizievole ripulsa a vivere in conformità ad una vocazione autenticamente personale; l’immotivata indisponibilità a riconoscere il valore infinitamente meritorio della Passione del Cristo; la gratuita ostinazione a recedere dalla provvida volontà di divenire membra vive del Corpo Mistico generato dal suo Sacrificio, producono, per fatale contraccolpo, il tragico asservimento alle maglie avvolgenti dei determinismi che costellano la desolazione di un mondo sconsacrato.
La modernità si compiace di avvalorare il tradimento della sapienza a vantaggio di una “cultura” affidatasi alle tortuose giravolte di una dialettica che, con singolare abilità mistificatoria, assolutizza il divenire storico, privandolo di ogni riferimento alla causa finale.
Se la prerogativa qualificante di una cultura non inquinata dai demoni dell’intellettualismo è data dalla sua inclinazione a trarre incisiva forza integratrice dalla rituale solennità del culto e a dispiegarsi come sapiente disciplina indirizzata a conformare il mondo ai misteriosi disegni divini, «Maria è la personificazione, quasi vorremmo dire l’ipostasi, della Tradizione naturale precristiana considerata nella sua eccellenza e non nel suo empirico manifestarsi nella storia frammista di umani errori»(3).
La pertinente analogia posta dal pensatore fiorentino tra la Vergine e la Tradizione pre-cristiana, colta nel suo nucleo essenziale di principi suscettibili di tradursi in una positiva apertura all’assoluta verità del Verbo, richiama la provvidenzialità del Sacro Romano Impero che, nel rispetto delle particolari fisionomie dei popoli vocati a compaginarvisi, porge alla Santa Chiesa il sostrato prezioso e necessario per l’esplicazione di una feconda e durevole azione apostolica(4). Oltre i limiti delle determinazioni temporali e contingenti, si comprende come la civiltà cristiana medievale assuma per Mordini il valore paradigmatico di eterno canone spirituale, adatto a ricostituire gli assi portanti dell’ordine maldestramente surrogato dal mondo moderno e dai suoi postumi quanto vacui tentativi di ricucire i frammenti sparsi della rovinosa caduta che lo ha inesorabilmente coinvolto.
(1) A. Mordini, La tradizione e la genesi del tradizionalismo attuale, ripubblicata nel volume Il cattolico ghibellino, Settimo sigillo, Roma, 1989, pagg. 25 – 26.
(2) Ivi, pag. 19.
(3) A. Mordini, Verità della cultura, il Cerchio, Rimini, 1995, pag 56
(4) L’addebito mosso a Mordini, di avere operato una trasposizione illegittima del cattolicesimo in chiave gnostico-cabalistica, è sostenuto da don Curzio Nitoglia nel volume L’Esoterismo. L’auto divinizzazione dell’uomo e l’unita trascendente delle religioni alla luce della metafisica tradizionale, Centro Librario Sodalitium, verrua Savoia 2002 pp. 64 67 e passim.