Zoofilia e psicopatia

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(articolo di Federico di Röcken)

Leggo con interesse il pezzo di Enrico Galoppini intitolato “La zoofilia dei moderni è specchio di un disordine interiore”, che è crudo e schietto quanto basta ad ispirarmi, ed in me si determina la volontà di riflettere sul punto nevralgico della questione ed aggiungere la mia pietra alla costruzione.

I termini della questione sono così delineati.

Il cane è un animale che, come tutti gli altri animali, è fattualmente sottoposto al dominio di una specie animale superiore la quale, se ne desiderasse il completo annientamento, avrebbe tutti i mezzi per portare a compimento tale proposito. Il che tradotto significa che l’essere umano, in un modo che è scevro di soporifere considerazioni morali, vanta una signoria prossima all’onnipotenza relativamente al cane, e come singolo e come specie, in quanto, se così egli vuole, il cane vive, se così egli decide, il cane muore. Il cane è in balia di questo bipede d’incomparabile intelligenza, la cui tecnologia gli permette distruzioni e benedizioni del tutto simili a quelle di un dio – anzi, di Dio – dal suo relativo punto di vista.

Di talché può asserirsi senza tema di smentita che quando il tipico cinofilo, che in questo particolare caso è squilibrato nelle cervella, venera il suo animale oltre ogni limite dettato dalla ragionevolezza e financo dalla sanità mentale, egli venera la propria onnipotenza, in forma di una tangibile e vivente perfino proiezione di essa. L’oggetto su cui si esercita il potere diviene feticcio del potere poiché ne è il simulacro senza il quale il potere medesimo cesserebbe di esistere.

La testa del cinofilo è drogata. Non solo la cura dell’animale gli dona un senso all’esistenza, non solo la razza della bestia connota per interposta persona – canide in questo caso – la sua identità, bensì anche egli sperimenta l’infatuante ebbrezza di avere un essere vivente sotto al suo completo controllo, potendo egli dispensare magnanimamente carezze o percosse, cibo o fame, vita o morte.

Questa è la sua assuefazione, di marca simile ad un perverso incrocio tra sadismo e autolesionismo, il circolo vizioso e viziato dal quale non riesce ad uscire perché oramai la droga s’è fatta largo nelle sue vene e gli ha inondato le sinapsi d’un distillato ubriacante di potere assoluto. Egli è il Summus Iudex, il tribunale di ultima istanza, il Giudizio Universale incarnato, e gradisce oltremodo questa sua prerogativa divina.

Allora si rammenti quel che dico, e si faccia tesoro di quel che dico: la venerazione del cane e l’imposizione del cane al prossimo sono in realtà una proiezione esterna della tirannide frustrata dello sconfitto dalla vita tra pari, che compensa come può l’eclatanza del proprio fallimento, attribuendosi con ciò potestà e regno su una creatura di rango biologico inferiore che dipende da lui in tutto e per tutto. In una parola: psicopatia.